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Il bombardamento di Torrenieri

Il bombardamento di Torrenieri

Torrenieri tra passato e futuro
fatti e considerazioni sulla vita di Torrenieri

a cura di Alberto Cappelli

 

QUELLA TERRIBILE ESTATE 1944 A TORRENIERI

 

Nell’estate del 1944, la Valdorcia era occupata dai tedeschi. Lungo la consolare Cassiavi era un via vai di autocolonne militari tedesche, sempre più spesso costrette a viaggiare di notte per non essere oggetto di attacchi aerei.

            Man mano che il fronte di guerra si avvicinava, gli anziani ricordavano la vecchia profezia di Brandano (1) che aveva previsto una grande guerra in Valdorcia, dove si sarebbero scontrati carri che si muovevano senza utilizzare cavalli: per i più il riferimento era ai carri armati impiegati nella guerra moderna.

            Il 19 febbraio 1944 furono arrestati alcuni antifascisti del Comune di Montalcino; fra questi anche Emilio Marconi, un calzolaio di Torrenieri conosciuto come Renzino. Associato al carcere di Siena fu successivamente deportato a Mauthausen, campo Gusen 2 (numero di matricola 2072). Lo salvò il bisogno di mano d’opera specializzata che attanagliava all’epoca la Germania e la sua professione, per cui fu inviato presso la famiglia Staus Klampfer, calzolaio di St. Georgen a Gusen. Rientrerà a Torrenieri ai primi di luglio del 1945. Successivamente verrà deportato in Germania pure Giuseppe Burroni per motivi politici, anche lui di Torrenieri.

            Nel paese di giorno, i camion militari tedeschi in transito sostavano sotto gli alberi del viale della stazione e nei vicoli adiacenti; oppure nella parte più larga di via della Fiera, mimetizzati con frasche.

            A Torrenieri era presente una piccola guarnigione di SS comandata da un ufficiale con una benda nera perché privo di un occhio e mutilato anche di un braccio. Era alloggiata nel complesso scolastico (elementari – che per l’occasione vennero spostate in altri edifici – e asilo infantile che fu chiuso). Non erano in molti e fra loro c’erano due austriaci che familiarizzarono con i civili. Con l’avvicinarsi del fronte si rifiutarono di eseguire un ordine del comandante e dichiarati in arresto, ma con l’aiuto di alcuni abitanti riuscirono a scappare ed a mettersi in salvo, grazie ad Albina Bonucci Machetti, che con il marito gestiva un bar alimentari con trattoria nella Piazzetta.

            Uno dei due austriaci si chiamava Karl (Swatzerl?) e a guerra finita, è tornato più volte  a salutare gli amici a Torrenieri. Si seppe  in seguito, essere un cantante del Teatro dell’Opera di Vienna, non so dire se solista o corista.

            Per un certo periodo presso la guarnigione tedesca ci furono anche due prigionieri russi provenienti dall’ Ucraina: liberi di andare in giro, non solo per il paese, viaggiavano su di un tandem. Provvedevano anche alla cucina della guarnigione.

            Al deposito dell’acquedotto comunale situato sul Poggio  della Casanovaprossimo al paese, venne piazzata dai tedeschi una batteria antiaerea.

            Il coprifuocoe l’oscuramentoerano diventati severi e fu attivata la sirena di allarmeche avvertiva la popolazione del pericolo di attacchi aerei, con sei ululati intervallati fra loro; mentre il cessato allarme era dato da un unico suono prolungato.

            Fu realizzato un rifugio antiaereo alla cava di argilla, sopra il Cimitero. Più tardi alcuni abitanti delle zone più lontane da quel rifugio, chiesero allaSocietà Pie Disposizioni di Siena, proprietaria dell’azienda agraria delPoggio, il permesso di costruirne un altro al Boscarello. La richiesta non solo fu accolta, ma per realizzarla fù  messo a disposizione dei richiedenti, un gruppo di malatidel San Niccolò, da tempo distaccati a Torrenieri per aiutare nei lavori agricoli le famiglie coloniche dell’azienda agraria.

         

L’ATTIVITA’ AEREA DEGLI ANGLOAMERICANI

            Sempre più spesso il cielo era sorvolato dagli aerei ricognitori ed anche nella nostra provincia iniziarono i bombardamenti aerei, inizialmente   a Poggibonsi e a Siena – con obiettivi  gli scali ferroviari –  che causarono morti e feriti fra i civili. Fra i morti di Poggibonsi, vi fu anche Antonio Giardini– responsabile della squadra delle RR. Poste e Telegrafi addetta ai controlli delle linee telegrafiche, con sede a Torrenieri – dove si era recato con alcuni uomini della sua squadra per ripristinare le linee danneggiate.

            Dall’aprile 1944 i P 47 Thunderbolt”, veloci cacciabombardieri angloamericani del 57° Fighter Group di base ad Alto in Corsica, presero ad attaccare quotidianamente le vie di comunicazione in Toscana. Sbucavano all’improvviso e si gettavano sulla preda, in genere sidecar o camionette tedesche in transito sulla Cassia, colpendole.

            L’11 di aprile mitragliarono sulla Cassia a Torrenieri; il giorno dopo, Torrenieri fu spezzonato (3) da aerei alleati. Il 24 aprile erano su Montalcino per lanciarsi in picchiata sulla Cassia, quando, nei pressi della Fortezza, dei militi della Guardia Nazionale Repubblicana gli spararono, perché volavano su di loro a bassa quota: immediata fu la reazione, la strada fu mitragliata, e restarono uccisi due agricoltori e dei buoi attaccati ad un carro agricolo in transito, mentre altri presenti si salvarono.

            Da quel giorno fu decretato la fine dell’anno scolastico per tutte le scuole di ogni ordine e grado, in tutta la Provincia.

            Frequentavo la seconda media presso a Montalcino e durante la settimana mi fermavo presso un parente di mio babbo, che mi fece avvertire che sarebbe venuto a prendermi in bicicletta. Non so quanto impiegò a raggiungere Montalcino, ma so che per tornare a Torrenieri fu un vero Calvario: ogni poco dovevamo fermarci e buttarci nelle fossette laterali della strada – ancora non asfaltata – per i continui attacchi degli aerei angloamericani che mitragliavano in continuazione. Non saprei dire quante ore impiegammo a tornare a casa, so solo che non furono poche, ma fortunatamente arrivammo sani e salvi.

            In quei giorni, in un breve mitragliamento che interessò anche Torrenieri, sotto il grande leccio della casa del Sig. Giulio Nozzoli in via Traversa dei Monti, fu ferita ad una gamba,  Giuseppa Ciolfi, la moglie di Abramo con il quale, gestiva un negozio di articoli casalinghi e di frutta e verdura ed esercitavano anche la vendita nelle fiere e mercati dove vi si recavano con un Barrocciotrainato da un cavallo,dopo che il loro camion era reso inservibile per la mancanza di pneumatici e di carburante; in seguito, verrà estratta viva dalle macerie della sua abitazione.

            Il 5 maggio, di prima mattina, i veloci incursori anglo-americani furono su Torrenieri:

l’obiettivo era lo scalo ferroviario e il piazzale della ditta Crocchi dove erano stoccati fusti da 200 kg di solfuro di carbonio (gas tossico, infiammabile ed esplosivo). L’attacco durò a lungo e per fortuna nessun fusto fu colpito. Poi intervennero gli Stukas tedeschi per respingere gli incursori nemici. Rimase ferita da una pallotola di mitraglia una ragazza, Marcella Mori, che si trovava nella propria abitazione (in una costruzione chiamata IlGhetto) adiacente allo stabilimento, con le finestre aperte.

            Dalla notte del 24 maggio iniziarono a transitare sulla Cassia le autocolonne con mezzi corrazzati della Divisione Gȍring diretti al fronte di guerra, ormai non lontano da noi.

            Nella notte del 1° giugno un gruppo di 100-120 partigiani della «Mencattelli» – con le squadre di San Quirico d’Orcia, Castiglion d’Orcia e Torrenieri  ed altre ancora, tutte al comando di Walter Ottaviani– attaccarono la caserma della GNR di Torrenieri, dalla quale portarono via una mitraglia, armi e coperte. Prelevarono anche del tabacco nei magazzini del Monopolio di Stato che aveva sede in questa località.

            Improvvisamente – non previsto – iniziò il passaggio di una lunghissima colonna tedesca di oltre cento automezzi. Fra i partigiani vi fu un’ iniziale confusione e si sparpagliarono per il paese e per la vicina campagna. Riaggregatisi, seguì una sparatoria che infiammò tutto il paese. La colonna tedesca rimase ferma per quattro o cinque ore, bloccata dal fuoco di fucileria e di armi automatiche dei partigiani, oltre che dal lancio di bombe a mano. Fra i partigiani non si ebbero vittime.     

            Questa colonna la mattina dopo fu mitragliata da aerei anglo-americani nella zona di Acquapendente.     

            La sera del 5 giugno, verso le ore 19 mi trovavo con i fratelli Lardori (Alberto e Giancarlo), con le sorelle Marconi (Loredana e Fernanda), con il loro cugino Guglielmo ed altri coetanei, al campo sportivo; noi maschi ci riposavamo sull’erba dopo la partitella – come al solito fatta con una palla costruita con carta di giornali bagnata, legata con uno spago – quando Torrenieri fu sorvolato da un ricognitore a bassa quota; la contraerea entrò in azione, ma l’areo riprese quota e scomparve. L’episodio spinse diverse famiglie ad abbandonare il paese per  sfollarenelle campagne vicine presso parenti e amici (già numerosi erano stati gli sfollati dal paese, in particolare donne e bambini).

            Il giorno 6 giugno è ricordato dalla storia mondiale per lo sbarco delle truppe anglo-americane in Normandia. Quella stessa mattina il medico condotto di Torrenieri,  Dr. Lunghetti, chiamato per una visita in campagna, prima di partire raccomandò all’ostetrica condotta Signora Rita Collini, che abitava sopra l’ambulatorio, di aprirlo per ogni evenienza e di provvedere alle eventuali emergenze.

            Da Mezzoborgo scendeva in paese correndo, Enzo Andreini, per prendere in carico i giornali dall’edicolante Silvia Bagnoli ed iniziare il giro di consegne. Vide sbucare presso la Chiesa due amici che, al piccolo trotto, girarono sulla strada di San Giovanni; chiese loro dove si recassero e questi gli risposero che andavano dalla Beppa, perché le erano arrivate le ciliege; istintivamente annunciò che si sarebbe unito a loro, ma l’edicolante lo richiamò immediatamente all’ordine, ricordandogli che era già in ritardo per le consegne dei giornali. 

            Irma, la figlia del calzolaio che aveva bottega sulla strada per San Giovanni d’Asso, era stata inviata dalla mamma allo spaccio della Cooperativa APE in via Romana, perché veniva distribuito lo zucchero.

            Silvano, il figlio di Abramo e della Beppa, quando sentì in lontananza il rombo degli aerei, si affacciò alla finestra di cucina: erano quattro o cinque, li vide sopra Celamonti e da lì si gettarno in picchiata verso Torrenieri, in direzione della sua casa; da due aerei vide sganciare quattro bombe: istintivamente si staccò dal davanzale e corse sotto il tavolo.

            Lo scoppio fu tremendo. Diverse abitazioni, comprese fra gli attuali numeri civici 2 e 18, crollarono, e fra queste anche quella di Silvano, ma lui si salvò, come pure la mamma, il nipote Sergio Lorenzi (meglio noto come Ginnale)e uno dei due ragazzi (Antonio Mangiavacchi, di anni 11), anche perchè la bomba cadde nel terreno retrostante.

            Sotto le macerie di quella abitazione morirono l’altro ragazzo (Manlio Bolgi, di anni 12), il marito dell’osterica (Pierino Bonucci, di anni 39) ed un’altra signora che vi si era recata per acquisti (Tornesi Machetti Pierina, di anni 40).

            Nell’abitazione attigua vi furono due morti: Fedeli Bandini Maria, di anni 38 ed il figlio Alvarodi anni 10 (il babbo era al lavoro lungo la ferrovia).

            Nell’altra  confinante con quella dei Bandini vi fu una vera strage in quanto l’altra bomba colpì in pieno l’abitazione ed i morti furono cinque: Turchi Nello, calzolaio di anni 47, sua mamma Papi Turchi Cesira, di anni 76, sua moglie Papi Maria, di anni 42, il figlio Mario, calzolaio di anni 21 ed il nipote Turillazzi Vasco, anche lui calzolaio di anni 17 (ci dovevo essere anch’io perché dovevo ripararmi i lacci degli zoccoli rotti la sera prima per giocare a calcio, ma fortuna volle che quel giorno mi alzassi più tardi, malgrado i continui solleciti di mia zia).

            Dall’abitazione di Giuseppe Burroni – anche questa colpita – fu estratta viva, ma ferita, la figlia Oriettadi anni 17, l’unica presente in casa in quanto il babbo era stato deportato dai tedeschi, la mamma era in campagna e il fratello Amiraldoera apprendista barbiere nella bottega di Ghino Minacci; anche l’abitazione sottostante abitata da tre persone, in quel momento era vuota.

            Altre due bombe colpirono il terreno in via Romana, fra il palazzo del Dr. G. Augusto Nozzoli e la Posta Vecchia, dove oggi ci sono il Ristorante La Compagnia e l’abitazione dei Torriti.

            Lo schianto delle bombe cadute sulle case (a pochi metri dalla mia) fu tremendo ed in sequenza seguì il rumore delle mura che controllavano e l’odore di calcinacci che prepotentemente saliva sul naso: tutto questa mi ha accompagnato come un incubo per un lungo tempo e, stranamente, circa otto anni fa, per un certo periodo si è rifatto vivo facendomi rivivere le stesse sensazioni.

            Un attimo dopo, a piedi nudi, corsi verso le scale, dove trovai la zia che vi aveva trovato un

rifugio e che mi chiamava; ma io scappai attraverso una porta divelta dallo spostamento d’aria, nel campo della Parrocchia, confinante e senza nulla vedere per la gran polvere, correndo a piedi nudi –  già pieni di schegge di vetro – sulle stoppie del grano appena mietuto, mi diressi al Castellare.

            Qui fui accolto, tranquillizzato, ripulito dal sangue che colava dai piedi e disinfettato. Più tardi venne anche la zia che riferì su cosa era successo.

            La sera, ritrovato il babbo, andammo al podere La Torrein casa dei Giuliani (erano cugini di mia mamma e di mia zia) sfollati.

            Gli incursori, convinti di aver colpito l’obiettivo (le scuole elementari, dove era presente la guarnigione tedesca, allergica al rispetto del coprifuoco, imposto ai civili), sganciarono sulla ferrovia presso il podere Grossetoaltre due bombe e altre due le sganciarono in aperta campagna nei terreni posti dietro il podere Castellare.

            Da quel momento vi fu l’abbandono quasi in massa della popolazione di Torrenieri. Si racconta che furono in pochi a scavare fra le macerie per estrarre sia i vivi che i feriti ed i morti rimasti sotto, aiutati in questo da due militari tedeschi (forse gli austriaci?).

            Il 10 dello stesso mese una squadriglia di 18 B26 dell’aviazione francese, comandata da Debernardy, sganciò 36 tonnellate di bombe in località Ponte d’Arbia, senza riuscire a colpire il ponte sulla Cassia, unico obiettivo.

            Verso la metà della settimana succesiva, Torrenieri fu oggetto di un nuovo attacco aereo con spezzonamento nella zona fra la Stazione ferroviaria e il Molino Batignani ma, fortunatamente, non si contarono vittime.

 

IL RASTRELLAMENTO TEDESCO

            Domenica 18, nelle prime ore del pomeriggio, correndo, si diresse da Torrenieri verso Castelverdelli, Enzo Andreini, urlando a gran voce agli uomini di scappare perchè era in atto un rastrellamento da parte di soldati tedeschi armati, iniziato dal paese.

            Gli uomini catturati in paese e nelle campagne vicine, furono inizialmente raccolti in una stanza in via Romana, all’angolo con via Traversa dei Monti, e da li, caricati su camion furono portati a posizionare mine lungo la linea “Frieda” o dell’Orcia.

            Anche io e il mio babbo scappammo dalla casa dei Giuliani, correndo nel campo sottostante la strada per Castelverdelli.

            Quando i tedeschi si avvicinarono a noi, sparando, mio babbo con un robusto scapaccione mi fece finire in un fossetto, dove si gettò anche lui e sentendo avvicinarsi i soldati – che continuavano a sparare – sventolò un fazzoletto in segno di resa.

            Fra i catturati nella zona di Castelverdelli, perciò c’eravamo anch’ io, che uomo non ero, e mio babbo: all’arrivo di un ufficiale io fui rilasciato, gli altri – compreso mio babbo – li condussero al luogo di raccolta al paese.

            Durante una sosta che i ratrellanti fecero sotto i ponti di San Quirico per consentire il passaggio di una colonna in ritirata, mia babbo riuscì a fuggire e mi raggiunse al podere Bosco di Vergelle, dopo qualche giorno, dopo aver vagato di notte fra i campi sotto la pioggia battente.

 

LA LIBERAZIONE E’ VICINA 

            Ormai il fronte era sempre più vicino. Le truppe francesi della I^ divisione comandata da Brosset, con una lotta casa per casa liberarono Radicofani. Superata questa località e l’Amiata, la truppa di Brosset fu sostituita dalla 2^ divisione di fanteria marocchina comandata da André Dody.

            Oltrepassata la linea dell’Orcia, questa divisione il 27 giugno liberò Montalcino, il 28 Torrenieri e la zona circostante.

            Il comando francese fu collocato nella abitazione del Dr. Guido Augusto Nozzoli, che era stato un importante dirigente del Ministero di Grazia e Giustizia, e da tempo era in pensione a Torrenieri, dove vi morirà per malattia e per vecchiaia l’8 luglio dello stesso anno, non ricordo se in casa del figlio o del fratello.

            La truppa, invece, era acquartierata alle vecchie Fonti sulla via per Montalcino.

 

            Le ferite che la guerra lasciò all’abitato di Torrenieri, furono molte. Oltre alle abitazioni distrutte nel bombardamento del 6 giugno 1944, vi fu lo sventramento di una stanza dell’ultimo piano della casa parrocchiale, fortunatamente vuota.

            Inoltre su diverse abitazioni del paese rimasero evidenti le tracce dei mitragliamenti e degli spezzonamenti, che con il tempo, sono scomparse per i rifacimenti di facciate; ma ciò non toglie che sul campanile della chiesa parrocchiale, come sulla facciata del vecchio complesso scolastico – asilo ed elementari –   e su alcune abitazioni del viale Bindo Crocchi, queste ferite siano ancora oggi presenti ed evidenti.

            Prima di abbandonare Torrenieri, le truppe tedesche minarono e fecero saltare il bel ponte sull’Asso, edificato ex novo con un elegante arco, nel 1641 ed altri piccoli ponticelli sulla via Cassia, fra i quali uno molto antico nei pressi del Galluzzino, che il Venerosi Pesciolini – uno studioso della via Francigena – in un suo lavoro sul tratto senese di questa antica strada(3) ne ha tramandato memoria, pubblicandone la fotografia a corredo di un suo articolo pubblicato su La Diananel 1933.

            Sulla spalletta destra del ponte sull’Asso era presente un’edicola dedicata a Sant’Antonio Abate, santo che godeva di un’ antica venerazione a Torrenieri ed al quale era intitolato anche il vecchio Hospitale.

            E’ da ricordare, infine, che fra i ricordi residui di quel periodo, nell’androne della vecchia fortezza fatta costruire dalla Repubblica di Siena nel XV° sec. Già Palazzo Ballati, Palazzo Verdiani Bandi, infine Palazzo Crocchi – oggi condominio – nota come Posta Vecchia(perché per un breve periodo vi si trasferì l’antica importante Stazione di Posta per il cambio dei cavalli) è conservato una cannadi cannone tedesco di lunga gittata, dai soldati tedeschi collocato fra i poderi Giardinoe Luogo dei Giardini  dell’Azienda agraria Crocchi. Veniva impiegato dai nazisti per cannoneggiare verso Radicofani e era tenuto ben mimetizzato quando non utilizzato: la cicogna – piccolo aereo ricognitore che volava ad alta quota – volteggiava spesso su Torrenieri finché non  riuscì a localizzarlo ed una volta individuato, giunse improvviso in picchiata uno Spitfireche, bombardandolo, lo mise fuori uso.

            Liberata Torrenieri, le truppe tedesche prima di lasciare la zona, fucilarono al Podernovo il capoccia Ghezzi Domenicodi anni 68: non se ne conosce il motivo in quanto era rimasto solo a controllare la casa e ad accudire gli animali.

 

LO SCOPPIO DI MINE TEDESCHE NELLE CAMPAGNE INTORNO A TORRENIERI

            La presenza delle truppe che si guerreggiavano ed il maltempo che in quel mese di giugno fu ricco di piogge, appena gli eserciti si allontanarono, spinsero i mezzadri a mietere il grano ed a compiere tutti i lavori che la battaglia e la presenza dei militari aveva loro impedito. Per alcuni di questi, fu loro fatale.

            Infatti, il 30 giugno, nelle terre del podere Salcano, dell’Azienda agraria Crocchi, per lo scoppio di una mina, morirono alle ore 14, Pignattai Torello,Grazzini Giulioe Fatichenti Renato; e pochi giorni dopo, nel pomeriggio del 6 luglio, alle ore 17,30, presso il podere Giardinellodi proprietà della stressa azienda agraria e per lo stesso motivo trovarono la morte Armini Giovanni, Armini Nello, Cappelli Armini Milena,Mazzeschi Giulio.

 

A TORRENIERI DOPO IL PASSAGGIO DEL FRONTE        

            Passato il fronte di guerra ed allontanatosi verso Siena, il paese lentamente si ripopolò, anche perché le abitazioni abbandonate dalle famiglie sfollate furono occupate dalle truppe marocchine.

            Dopo continue lamentele presso il comando locale francese, fu da questo indicato come risolvere il problema: fu suggerito che quando, anche momentaneamente, le abitazioni fossero lasciate incustodite dagli occupanti marocchini, era sufficiente applicare sulla porta un cartello con su scritto Maison occupée (casa occupata) perché questi non vi rientravano più. I cartelli furono predisposti dai pochi che conoscevano la lingua francese (ne predispose diversi la giovane maestra elementare Ines Cherubini).

            Ma le attività economiche stentarono a riprendere, anche per la mancanza dell’energia elettrica e lo stabilimento Crocchi (la più grande fonte di occupazione del comprensorio) ancora non ripartiva, se non per le piccole operazioni di ordinaria manutenzione.

            Il torrente Asso venne attraversato dai mezzi blindati alleati a guado, fino a quando non fu costruito un rudimentale ponte di legno dai soldati della 5aArmata, che venne portato via dalla piena.

            In seguito fu montato un ponte metallico dai soldati di colore provenienti dall’India, di religione musulmana, ed infine, l’anno dopo fu ricostruito in muratura il bel ponte ad una sola arcata, da un’impresa di Siena che occupò mano d’opera locale; anche gli altri ponti più piccoli furono ricostruiti con lo stesso sistema, alleviando temporaneamente la disoccupazione operaia.

            Fra i tanti problemi, forse il più serio era rappresentato dalla mancanza dell’acqua potabile, in quanto erano state danneggiate sia la conduttura della ferrovia che quella comunale e le due fontanelle pubbliche non erogavano più l’acqua.

            La popolazione per uso potabile si riforniva andando alla fontina della Casanova(che pur tirando poco, all’epoca era ancora attiva), ma occorreva un gran tempo per riempire fiaschi e damigiane.       

            Inoltre era acqua medicamentosa, quasi simile a quella di Collallie della Banditella, per cui il medico condotto ne consigliò un uso limitato. Dall’esercito alleato riuscì ad avere ed a distribuire pasticche preventive per il paratifo.

            Per scopi diversi da quelli potabili, ci si serviva dell’acqua dei pozzi che a Torrenieri sono stati sempre presenti in abbondanza.

            Per fortuna era ancora presente (e lo è ancora oggi) la grande cisterna della Piazzetta che contiene una grande quantità d’acqua, che in parte vi arriva dai tetti e in parte sgorga da una vena sottostante. Questa riserva d’acqua fu resa potabile dalle truppe americane che, in un pomeriggio di luglio attivarono un impianto di potabilizzazione che per giorni rifornì le truppe  in transito, ma che fu distribuita anche alla popolazione.

            Ricordo l’arrivo in Piazzetta dei soldati che, con molta professionalità, realizzarono l’impianto di potabilizzazione. Li osservavo lavorare e poco distante da me c’era il vecchio Nannettiseduto su di una sedia (il babbo di Celido, morto da poco tempo, più che centenario) con l’immancabile pipa di coccio con il cannello di legno in bocca. Anche lui con gli occhi socchiusi guardava lavorare i militari e, fra se – ma a voce abbastanza alta tanto che io potei distintamente udire – sussurrò: “ma guarda se si doveva perdere la guerra con gente che per lavorare si mette i guanti”, marcando con questa osservazione il gapculturale che avevamo nei loro confronti e di tanti altri popoli, che è continuato per tanti anni, fin quando, grazie alle direttive dell’ Unione Europea sulla sicurezza nel lavoro attuate anche in Italia, seppur lentamente si sta riducendo.

            Quella mattina Pisquillo – il marito di Albina con la quale gestiva un negozio di generi alimentari, con trattoria e mescita di vino – aveva fatto venire da Montisi un carico di damigiane di vino da mescita e quel pomeriggio voleva farlo assaggiare ai clienti più assidui

            Perciò ne invitò alcuni per il pomeriggio e, presi i bicchieri, li riempì di vino ed iniziò l’assaggio, accompagnandolo con una buona merenda.

            Venne naturale a Pisquilloinvitare a bere anche i militari (che nel frattempo avevano quasi portato a termine il montaggio dell’impianto) e pur non parlando inglese si fece da loro comprendere e questi accolsero l’invito. Un bicchiere tirò l’altro e ben presto la situazione si fece incandescente. I militari prima alticci e poi ubriachi, iniziarono a blaterare in inglese rivolgendosi agli italiani che non capivano, ma compresero che le parole erano sempre meno amichevoli e che la situazione prendeva per loro una brutta piega. Infatti, in un battibaleno iniziarono a volare  sedie e alcuni tavoli furono rovesciati e qualcuno degli avventori si prese anche dei pugni.

            Non so chi fu, ma furono avvertìti altri militari presenti in paese e ben presto giunse la polizia militare che fermò gli energumeni, arrestandoli.

            Il comando alleato provvide a saldare il danno immediatamente e la mattina dopo si presentò una nuova squadra di soldati, tutti italo-americani, quindi in grado di comprendere e di parlare la nostra lingua, che portarono a compimento il montaggio e nel primo pomeriggio iniziò la potabilizzazione dell’acqua e la sua distribuzione.

            Per la mancanza di energia elettrica si provvedeva all’illuminazione domestica e dei locali aperti al pubblico con le lampade ad acetileneche facevano una luce bianchissima, oltre che con le poche candele di cera, che venivano riprodotte fin che era possibile, con la cera colata durante la combustione.

            I primi giorni di agosto, in piena notte un areo tedesco incomprensibilmente fu sul cielo di Torrenieri, dove sganciò degli “spezzoni”, senza arrecare danni a strutture e persone.

            La quinta Armata regolava il traffico intenso sulla Cassia, piazzando un militare al quadrivio presso la Chiesa di Torrenieri.

            Una sera di metà agosto svolgeva questo servizio un soldato indiano di religione induista, con turbante in testa e dotato di una gran barba e baffi, oltre che di un robusto fisico. Conosceva discretamente l’italiano. In prossimità del quadrivio sostavano un certo numero di uomini, disoccupati, che si scambiavano opinioni sulla loro situazione, certamente non facile.

            Ad un certo momento le campane della vicina Chiesa si misero a suonare per annunciare le funzioni religiose che di li a pochi minuti avrebbe celebrato il Parroco.

            Il soldato indiano, senza perdere di vista il suo compito, guardava con attenzione la folla maschile, indifferente al richiamo delle campane (a Torrenieri è stato sempre presente un forte agnosticismo, accompagnato da anticlericalismo). Visto che nessuno dei presenti si recava in Chiesa, iniziò a spronarli a recarvisi gridando che ogni uomo, a qualunque religione appartenesse aveva il dovere di recarsi nel luogo di culto ad onorare la propria divinità, ma senza ottenere effetto alcuno.

            La cosa si verificò per altre due sere, fin quando al posto dell’induista non venne un militare di altra nazionalità, al quale poco importava del comportamento religioso della popolazione; sembra che fosse stato lo stesso militare induista a chiedere di essere esonerato da quel compito.

            L’autunno e l’inverno seguente che ci condusse al 1945 non furono periodi buoni. I generi alimentari e gli altri di prima necessità erano ancora razionati.

            Solo lentamente tornavano a casa i soldati, o dai luoghi di prigionia o dai vari fronti di guerra nei quali erano stati impegnati.

            Il 25 aprile 1945 l’Italia fu completamente liberata dai nazifascisti, che si lasciavano dietro  numerose stragi di civili, che per fortuna non avevano interessato le nostre zone.

            Quell’estate la voglia di far festa fu tanta e la gente si accontentava di poco per farla. A Torrenieri ricordo le prime feste da ballo improvvisate che si tenevano in strada nel Viale Piave con la musica suonata col violino dal popolare Seghino– al secolo, Vittorio Capitani, nonno di Livio– che doveva questo nomignolo al fatto di saper suonare quello strumento.

            La Associazione Sportiva riprese l’attività e venne intitolata al partigiano Alberto Piallidella squadra di Torrenieri della formazione “Mencattelli”, ucciso il 17 giugno in uno scontro a fuoco con i tedeschi in località Molinello; per cui si chiamò ASAP – Associazione Sportiva Alberto Pialli – ma solo per un breve periodo perché poi – non ne conosco il motivo – tornò alla vecchia denominazione.

            Comunque anche l’attività  al campo sportivo locale riprese e fu ricostruita una squadra di calcio.

            Poi, pian piano, in autunno, con il ripristino dell’energia elettrica per le sole attività economiche, e dell’acqua potabile, la vita si avviò verso il suo consueto tran tran. 

 

CONCLUSIONE

            Alla fine del conflitto in Italia si contarono 291.346 vittime fra i militari di tutte le armi (morti e dispersi), delle quali 204.346 prima dell’ armistizio e 87.030, dopo. A questi vanno aggiunti i tanti soldati che, caduti in mano nemica, dovettero scontare periodi più o meno lunghi di prigionia.

            I civili morti per bombardamenti aerei furono 61.432, dei quali ben 42.613 dopo l’8 settembre 1943, a dimostrazione che, dopo quell’evento, l’aviazione alleata aumentò la pressione sugli obiettivi strategici, ma i cosidetti strumenti intelligenti – come vediamo ancora oggi – non potevano prevedere gli errori per i quali, invece, spesso si colpivano obiettivi civili, provocando vittime fra le popolazioni.

            Terminata la guerra Torrenieri conterà 15 militari morti in combattimento e 13 dispersi, oltre a ben 19 civili deceduti per bombardamenti, scoppio di mine e un fucilato dai tedeschi in ritirata.

            La guerra iniziata nel giugno del ’40 con grandi aspettative di vittoria e la promessa che sarebbe stata lampo, terminerà per l’Italia (come detto) solo il 25 aprile 1945: cinque anni di lutti e sacrifici per un popolo, che, comunque seppe risollevarsi e cambiare decisamente strada, imboccando quella della democrazia, auspicando che non vi siano ripensamenti.

 

Alberto Cappelli

 

NOTE

  1. “Brandano” – con questo nomignolo, perché forte di corpo e di braccia – fu soprannominato Bartolommeo Carosi, nato a Petroio nel 1490 da una famiglia contadina. Fu detto il “Pazzo di Cristo” perché predicava e profetizzava nei paesi del senese, ma anche in Piazza del Campo e a Roma, inveendo contro i potenti.
  2. “Data da ricordare” – Diario di Emilio Marconi, a cura di Raffele Giannetti – Montalcino, Abricula 2011. Emilio Marconi (1902-1964) era conosciuto in paese come «Renzino», dato che l’altro apprendista calzolaio, Renzo, più grande e più grosso di lui, era soprannominato «Renzone». Ha lasciato un diario della sua prigionia: «Date da ricordare». Il 21 giugno 1944 Emilio raggiunge il campo di concentramento di Mauthausen (campo Gusen 2; numero di matricola 2072). Tuttavia, grazie al bisogno di manodopera specializzata, viene inviato presso la famiglia di Hans Klampfer, calzolaio di St. Georgen a Gusen, Austria.Il diario è scritto in loco (St. Georgen). È stato pubblicato in poche copie alcuni anni fa.
  3. “Spezzone”: rudimentale bomba formata da un tubo metallico pieeno di esplosivo e munito di miccia, lanciata a mano o da un aereo.

 

BIBLIOGRAFIA

Questa memoria è stata redatta in base:

 

  • ai ricordi personali e ai racconti dei coetanei;
  • a quanto narrato nel documentario “La guerra a Montalcino” realizzato dal gruppo “Amici di Montalcino” e in particolare con riferimento alle interviste a Irma Turchi Machetti e a Bruno Bonucci;
  • alla ricca bibliografia, in particolare quella di:

 

– Iris Origo – “La guerra in Valdorcia” – Firenze, 1969

– Elio Matarazzo – ”Son la mamma di tre gattini” – Documenti e testimoniamze di vita quotidiana nel movimento di

                                Resistenza in Val d’Orcia !943 – 1944 – Editrice Le Balze, 2005

– Vittorio Meoni – “Una vittoria partigiana – Monticchiello, 6 aprile 1944” – ANPI Siena 1978

– Tamara Gasparri – “La Resistenza in provincia di Siena – 8 settembre 1943 – 3 luglio 1944” – Olschki Editore – Firenze,

                                  1976

– Luciano Casella – “La Toscana nella guerra di liberazione” – La Nuova Europa Editrice – Carrara, 1972

– Claudio Biscarini – “Storia del Raggruppamento “Monte Amiata” – Ed. F.M. S. Miniato, 2006

– Claudio Biscarini, Gino Civitelli con la collaborazione di V. Pascucci – “Guerra in Valdarbia” – Comune di Monteroni

                                 d’Arbia – Circolo Culturale “Amici di Monteroni” – Ed. Ticci, Siena, 2005

– Ivo Caprioli – “La liberazione di Montalcino 27 giugno 1944” – Quartiere Borghetto, 1994

– Claudio Biscarini – “Bombe su Siena: la città e la provincia” – Ed. Del Burchia, 2008

– Claudio Biscarini – “Tra Umbria e Toscana” – Ed. Nuova Immagine, Siena, 2000

– Claudio Biscarini – “La Resistenza nel Centro – Raggruppamenti partigiani in Provincia di Siena” – Centro studi della

                                    Resistenza: resistenza in provincia di Siena”

-Christopher Duggan – “Gli uomini del Duce – Storia emotiva dell’Italia fascista” – Laterza Editore, 2013

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